Creatività, stress da deadline e richieste impossibili: chi lavora in un’agenzia di comunicazione sa bene cosa significa affrontare ogni giorno revisioni dell’ultimo minuto, brief assurdi e clienti che cambiano idea ogni 5 minuti. Ma cosa succederebbe se tutte queste situazioni diventassero un gioco di carte?
Da questa domanda nasce “Agenzia Disperata”, un gioco di carte ideato e progettato da Paola Patrizi, graphic designer di The Box Project (pa_illustra su Instagram), che ha trasformato le disavventure quotidiane in dinamiche ludiche divertenti e condivisibili. Il progetto è stato testato con successo ai Graphic Days di Torino, dove ha riscosso grande entusiasmo da parte di studenti, professionisti e creativi.
Abbiamo intervistato Paola Patrizi per scoprire com’è nata l’idea, come funziona il gioco e quali sono state le ispirazioni visive, concettuali e personali che l’hanno guidata nella sua realizzazione.
Scopri l’intervista completa qui sotto e, se vuoi provare anche tu “Agenzia Disperata”, compila il form a questo link per avere tutte le informazioni sulla prima edizione:
Perché un gioco di carte sul lavoro in agenzia?
L’idea è nata da un mix esplosivo di cose: un’estate passata a giocare ossessivamente con le carte Pokémon con i miei nipoti, la mia tendenza naturale a sdrammatizzare le cose ridendoci sopra e, soprattutto, quelle pause caffè condivise con i colleghi, in cui si commentano, a metà tra l’orrore e la risata isterica, le richieste più assurde arrivate dai clienti.

Nel confronto ci si rende conto che tutti, ma proprio tutti, abbiamo avuto almeno uno di quelli che si possono definire “clienti tossici” (che nella loro peggior evoluzione diventano “clientidimm3rda”): quelli che ti fanno penare, che cambiano idea dodici volte per poi tornare alla prima proposta o che vogliono “più dinamismo ma senza troppa confusione” (qualunque cosa significhi).
Così è nata l’idea del gioco. Un modo per riderci su, per condividere tra creativi le disavventure quotidiane e, perché no, esorcizzare un po’ del disagio.
Avevo questa idea a mantecare nella testa da un po’, ma l’occasione è poi arrivata con il Torino Graphic Days, di cui con Printaly siamo sponsor tecnici da nove anni: una piazza di fermento creativo che ogni anno ci sprona a creare qualcosa di folle, leggero, e che parli di noi.
I tempi, ovviamente, erano strettissimi. E solo il fatto di aver pensato di poterlo chiudere in tempo era folle quanto una qualsiasi delle Carte Revisione che poi ho realizzato.
Ma il problema è che ne avevo già parlato con Lorenzo Celori (Printaly). Tra me e lui si è creata questa dinamica per cui ci entusiasmiamo reciprocamente ogni volta che ci viene in mente un progetto fuori dagli schemi (e più sembra irrealizzabile, più ci convince). E poi, puntualmente, ci ritroviamo di sabato o domenica in azienda a stampare, piegare o incollare gli ultimi pezzi prima della partenza (scusaci Micol!).
Questo progetto quindi, possiamo dirlo, è un concorso di colpa tra due follie.
Da qui è partita l’avventura.

Come nasce il concept del gioco? In che modo ironia, gamification e creatività condivisa si intrecciano nel progetto?
La parola d’ordine, fin dall’inizio, è stata semplice e necessaria: riderci su.
Chi lavora in agenzia sa quanto spesso ci si ritrova a lamentarsi. E anche quanto, a lungo andare, quel brontolio condiviso si trasformi in una nuvola grigia che ci segue ovunque – come se il lamento, moltiplicato per tre o quattro teste, diventasse pesantezza al cubo.
Invece ridere insieme alleggerisce. Non è solo un modo per sfogarsi: è un atto creativo in sé. Da qui nasce il concept del gioco: trasformare le disavventure in dinamiche di gioco, i drammi in meme, le richieste assurde dei clienti in carte collezionabili.
C’è un potere enorme nel prendersi meno sul serio: l’ironia crea spazio, permette di osservare le situazioni da fuori, di riconoscerle, condividerle e, in qualche modo, superarle. E il gioco diventa il contenitore perfetto per farlo: ti aggancia, ti fa ridere, e ti rimane in mente.
È un modo per riconoscersi, un piccolo specchio collettivo che ci fa sentire un po’ meno soli dentro al delirio creativo quotidiano.
Com’è stato pensato graficamente il gioco? Quali sono stati i principali riferimenti visivi e le scelte stilistiche?
All’inizio, come ogni progetto nato con entusiasmo e incoscienza, l’idea era illustrare tutte le carte. Ogni cliente, ogni situazione assurda, ogni moodboard immaginario. Avevo in mente un piccolo universo visivo completo, pieno di dettagli, stile e colori.
Poi, man mano che le idee crescevano (e le ore di sonno diminuivano), mi sono resa conto che, almeno per questa prima fase, era un’utopia bella e irrealizzabile.
Quindi ho deciso di concentrare la parte di illustrazione sui personaggi, e lasciare che il resto venisse raccontato dalle parole: richieste tipiche, descrizioni ironiche, e situazioni al limite del surreale.

Dal punto di vista visivo, sono partita dalla scelta di una palette cromatica e dalla realizzazione di un set di icone con uno stile veloce e semplice, molto accessibile.
A livello visivo, l’idea iniziale era di seguire la scia di giochi che amo profondamente, come Root – di cui adoro ogni cosa: i personaggi, lo stile grafico, l’equilibrio tra strategia e storytelling (l’ho ovviamente regalato ai miei nipoti, così avevo la scusa per giocarci anche io) – o Drama Llama. Avrei tanto voluto realizzare illustrazioni per ogni carta, ma qui si torna al punto di cui sopra: a un certo punto bisogna scegliere tra perfezione e consegna.
E infine Quick Stop, che mi ha ispirata per la sua leggerezza, immediatezza e giocabilità accessibile: volevo che il mio gioco fosse divertente da vedere, ma soprattutto facile da capire e coinvolgente da giocare.
In questa fase è stata fondamentale la presenza del mio amico Giuseppe Iacobaci, traduttore geniale e complice di idee folli, ideatore e autore de La Rivista dei Ragazzi, con cui ho avuto il piacere di collaborare durante il periodo del Covid. È lui che mi ha detto “tu sei pazza. Si può fare!!”.

Come hai strutturato la giocabilità? Quali meccaniche di gioco hai scelto e perché?
All’inizio doveva essere tutto molto semplice. Semplice e veloce.
Come reference avevo in mente un gioco super immediato: le carte Lego Ninjago (sì, sempre grazie ai nipoti!). Partite brevi, attacco, difesa, un po’ di sana competizione: account contro cliente, project manager contro account… si attacca, ci si difende, si vive, si muore.

Ma poi, diciamocelo, quando mai chiudere un progetto in agenzia è una cosa semplice?
La realtà è molto più articolata, caotica e tragicomica.
Così l’idea ha cominciato ad espandersi, a lievitare, ad assumere forme più complesse.. e io ho dovuto domarla a colpi di compromessi, anche per i motivi di tempo già raccontati sopra.

La base della giocabilità resta comunque quella ispirata al mondo delle carte Pokémon, soprattutto al concetto di “evoluzione”. Nel gioco, infatti, un progetto può essere chiuso solo se gli viene accostata la carta “Cliente”. Ma non basta: servono punti creatività per portarlo a termine (come le carte energia dei Pokémon), ovvero ore di lavoro, esperienza, caffè, ispirazione, fortuna, e quella percentuale misteriosa che chiamiamo semplicemente “culo”.
L’idea iniziale era persino quella di realizzare piccole monete fisiche in cartone per rappresentare questi punti. Ma poi, la dura realtà della produzione mi ha riportata sulla terra: i tempi erano quelli che erano, quindi ho optato (per ora!!) per una soluzione 100% carte, mantenendo comunque il sistema di accumulo punti.

In tutto questo, la mia priorità è sempre stata una: volevo che il gioco fosse semplice, veloce, divertente. Un’esperienza già godibile dalla prima partita, senza dover studiare il regolamento come se fosse un manuale di InDesign 1998.
La difficoltà è arrivata testando le carte e giocando contro me stessa (esperienza mistica): mi sono accorta che le partite non si chiudevano. Così ho dovuto limare, semplificare, ribilanciare tutto il sistema dei punti. Più volte. Finché non ho trovato un equilibrio soddisfacente tra giocabilità, divertimento e senso di chiusura.

Com’è stata l’accoglienza al Torino Graphic Days? Ci racconti qualche feedback o aneddoto curioso?
I Graphic Days sono sempre una bellissima esperienza.
Per chi fa il mio lavoro, sono una specie di parco giochi creativo: si respira ispirazione, condivisione, ci si nutre di progetti bellissimi e si torna a casa con la testa piena (di idee, ma anche di mille nuovi progetti da voler iniziare “subito”, che poi finiranno accatastati in una cartella chiamata “idee fighe, prima o poi”).
Il contesto è stimolante, le persone sono curiose, i workshop sono momenti preziosi per imparare o semplicemente guardare come lavorano gli altri. Insomma: ci si sente parte di qualcosa, e questo – per chi spesso lavora da solo o in modalità trincea – è impagabile.
Per l’occasione abbiamo realizzato un allestimento leggero, colorato e veloce da montare.
La cosa che ci ha colpiti di più è stata la reazione delle persone che si fermavano a giocare: capivano il meccanismo al volo, bastavano poche parole dette a voce e si lanciavano nella partita.
Spesso succedeva che, leggendo le carte, qualcuno dicesse subito:
“Questo è il cliente Tizio!”
oppure
“Oddio, ma questa è esattamente la situazione con il cliente Caio!”
E lì partiva una piccola conversazione terapeutica: i team creativi riconoscevano i propri traumi, ci ridevano sopra, e il gioco diventava un pretesto per parlare, confrontarsi e sdrammatizzare.
Le risate avevano quel tono mezzo tremulo da lacrima interna trattenuta, ma funzionava: la gente si divertiva, e spesso scattava la competizione. In pochi minuti si creava il clima giusto: si voleva vincere, chiudere campagne, mettere in crisi gli avversari. Tutto molto agenzia, ma senza nottate in bianco.
Abbiamo incrociato tantissimi studenti, studi creativi e agenzie, tutti contenti di poter testare il gioco. Alcuni ci hanno chiesto se potevano comprarlo subito, altri ci hanno suggerito modifiche o espansioni, altri ancora ci hanno detto semplicemente “bello! mi ci voleva”. E questo, ovviamente, è stato il feedback più bello.

Quali sono le prossime evoluzioni del gioco? Hai già in mente nuove modalità, espansioni o aggiornamenti futuri?
Per ora il gioco è pensato per partite uno contro uno, ma la prima evoluzione naturale sarà renderlo giocabile in quattro (così si possono ricreare le vere dinamiche da open space creativo, con alleanze lampo e tradimenti strategici inclusi).
Poi c’è tutta una serie di idee in cantiere, alcune più sane, altre decisamente discutibili, quindi promettenti. Mi piacerebbe aggiungere carte Evento che ribaltino la situazione, come il temutissimo cliente che ti fa ricominciare tutto da capo. Perché sì, esistono, e meritano una carta dedicata. Con bordo nero, tipo lutto.
Vorrei anche rendere la giocabilità un po’ più articolata: ora è volutamente semplice, pensata per entrare subito nel mood, ma so già che può crescere, stratificarsi, diventare più avvincente. Mi piacerebbe introdurre alleanze temporanee, la possibilità di fregare clienti agli altri, o comunque dinamiche che rendano più imprevedibile ogni turno.
Dal punto di vista materiale e visivo, sogno ancora le monetine dei punti creatività, in cartone pressato.. e magari anche un dado per aggiungere un tocco di caos puro (come se ce ne fosse bisogno).
E poi c’è la grafica: vorrei rivederla e illustrare molte più carte. L’obiettivo è dare al gioco una veste ancora più riconoscibile, accattivante, con immagini che facciano già ridere. Quindi con più livelli di lettura.
Insomma: le idee ci sono. Il tempo, un po’ meno. Ma come ogni buon progetto partito quasi per scherzo… sta diventando qualcosa di serio!