Quadrifluox la stampa con inchiostri fluorescenti

La ricerca sul colore e sulla stampa trova in Quadrifluox un capitolo innovativo.

Ideata da Pierluigi Molinar, questa tecnica trasforma gli inchiostri fluorescenti in un vero sistema cromatico alternativo alla quadricromia tradizionale, aprendo nuove possibilità espressive per designer, artisti ed editori.

Come afferma Molinar, “Quadrifluox è un sistema non convenzionale, originale, che propone una visione diversa del colore e del suo ruolo nella comunicazione visiva. Non si tratta di un semplice effetto speciale, ma di un linguaggio progettuale che amplia lo spettro cromatico e apre nuove possibilità creative per designer, artisti ed editori.”

In occasione dell’uscita dell’ultimo numero di Graphicus (puoi acquistarlo qui), che ha allegato un manifesto firmato da Mauro Bubbico e stampato da Printaly in Quadrifluox, abbiamo intervistato proprio il suo ideatore per scoprire origini, sfide e applicazioni di questa tecnica, come il progetto sperimentale HelloFluo!.


Quadrifluox è una tecnica di stampa da te ideata, basata sulla quadricromia con l’uso esclusivo di inchiostri fluorescenti. Puoi raccontarci com’è nata questa intuizione e in che contesto hai iniziato a sperimentarla?

Quadrifluox non nasce da un’intuizione improvvisa, ma da un processo di ricerca articolato, fatto di osservazioni, prove e confronti con colleghi e tecnici. Il primo seme è stato piantato nel 2016, durante un laboratorio al Politecnico di Torino. In quel contesto, con gli studenti, abbiamo realizzato un piccolo libro dedicato alla cucina locale usando esclusivamente due inchiostri fluorescenti. Il progetto — Ricette piemontesi in salsa fluo — era pensato come esercizio visivo, ma si è rivelato anche un terreno fertile per esplorare le possibilità offerte dalla sovrastampa e dalla contaminazione tra tinte fluo.

Quell’esperienza ha innescato una nuova fase di ricerca, portata avanti in dialogo con Tommaso Delmastro. È proprio da questo confronto che è nata l’idea di sperimentare una quadricromia composta interamente da colori fluorescenti: non un semplice effetto speciale, ma una vera “ricetta cromatica” alternativa, sviluppata attraverso numerosi test per individuare la combinazione più efficace e versatile. L’obiettivo era chiaro: ottenere una gamma cromatica ricca, coerente, adatta alle esigenze della grafica contemporanea e capace di aprire nuovi scenari progettuali.

La sperimentazione si è poi estesa alla fase di prestampa, dove sono emerse criticità importanti legate all’uso delle tinte piatte nei software professionali. Da qui l’idea di creare un vero profilo ICC, che permettesse di gestire Quadrifluox come una vera quadricromia alternativa. L’incontro con Colorgraf ha rappresentato un punto di svolta: grazie al loro supporto tecnico e alla fornitura di materiali, è stato possibile perfezionare la formulazione degli inchiostri e rendere la tecnica più stabile e replicabile.

Quadrifluox, la stampa con inchiostri fluorescenti

Il momento conclusivo di questa prima fase di ricerca è stato reso possibile grazie allo IED Torino, che ha messo a disposizione una classe di studenti di grafica e un team di docenti per realizzare il primo libro interamente progettato e stampato in Quadrifluox. Un progetto corale che ha fatto da vero e proprio testimone del processo, dimostrando le potenzialità espressive e comunicative della tecnica.

Un ulteriore tassello creativo è arrivato con l’introduzione della lampada di Wood, che ha svelato una dimensione percettiva nuova, amplificando la carica sensoriale e concettuale degli inchiostri fluo anche sotto luce UV.

In cosa consiste esattamente la Quadrifluox dal punto di vista tecnico? Che tipo di interventi richiede sul piano della prestampa, della separazione dei colori e della scelta dei supporti?

Quadrifluox, dal punto di vista tecnico, è innanzitutto un approccio alla stampa che nasce da una necessità concreta: integrare inchiostri fluorescenti in un flusso di lavoro editoriale standardizzato, senza ricorrere alle classiche tinte piatte, che si sono rivelate presto ingestibili. All’inizio, infatti, avevo pensato a un sistema basato proprio su tinte piatte, ma ho capito ben presto che questo metodo diventava impraticabile, soprattutto in un contesto editoriale complesso, dove i file provengono da molti autori diversi e le mani che intervengono sul progetto sono numerose. Chi ha esperienza in questo campo sa bene cosa comporta la gestione delle tinte piatte: ogni file può diventare un piccolo campo minato, con conflitti tra nomi di tinte, incompatibilità tra software e problemi di separazione colore.

È proprio per evitare tutto questo che, fin da subito, ho deciso di lavorare su un profilo ICC dedicato, che permettesse di trattare i primari fluorescenti non come spot separati, ma come componenti stabili e integrate in un sistema simile al CMYK. Questo ha due grandi vantaggi: da un lato consente di costruire le tinte direttamente in prestampa, con una logica di separazione coerente e ripetibile; dall’altro permette di codificare i file con uno standard facilmente leggibile da qualunque stampatore, riducendo al minimo i margini di errore e rendendo il workflow molto più fluido.

Inizialmente il profilo era simulato, quindi basato su una resa visiva e non su letture spettrofotometriche reali. Ma grazie alla collaborazione con diverse realtà tecniche — come Byblos, Tipografia Parini, Fedrigoni e Colorgraf — sono riuscito a portare in macchina un test concreto, e da lì a costruire un vero e proprio profilo ICC, calibrato sulla stampa reale. È vero, ci sono ancora dei limiti, soprattutto perché gli inchiostri fluorescenti non sono facilmente misurabili con i normali strumenti spettrofotometrici, ma il profilo riesce comunque a gestire in modo molto efficace la separazione e la conversione colore dallo spazio RGB o da altri spazi CMYK.

Un aspetto interessante è che Quadrifluox migliora anche immagini che non contengono fluorescenti in modo esplicito. Il profilo lavora sull’intero spettro cromatico, ampliandolo e intensificandone la resa, con risultati più brillanti e luminosi rispetto al CMYK tradizionale. Il profilo infatti lavora sull’intero spettro cromatico, arricchendolo e ampliandolo, e offrendo una resa vibrante, brillante, con una luminosità che va oltre quella del CMYK classico.

Un ruolo fondamentale in tutto questo è giocato dalla scelta dei supporti. La tecnica si adatta bene a diversi tipi di carta e finitura, ma è con le carte prive di sbiancanti ottici che la fluorescenza mostra davvero tutto il suo potenziale, soprattutto sotto luce wood, dove l’effetto viene amplificato in modo sorprendente. Le carte naturali o usomano, che normalmente offrono una resa cromatica piuttosto bassa in stampa offset, trovano in Quadrifluox un terreno di gioco particolarmente interessante: la luminosità degli inchiostri fluorescenti compensa infatti la naturale tendenza di queste carte, assorbenti e opache, a far perdere brillantezza e vividezza nei colori stampati, soprattutto con inchiostri offset tradizionali. Il risultato sono immagini vive, dinamiche e assolutamente originali.

In sintesi, la Quadrifluox non è solo un effetto speciale, ma un sistema completo, solido, pensato per essere integrato in una filiera produttiva complessa, garantendo risultati affidabili anche quando le condizioni di partenza — come spesso accade nell’editoria — sono tutt’altro che uniformi.

Quadrifluox è un’innovazione tecnica, ma anche un gesto progettuale che richiama una lunga tradizione italiana: quella di una grafica impegnata, civile, che unisce forma e contenuto. Ti riconosci in questa eredità? E in che modo pensi che la tua ricerca ne sia una prosecuzione o un rinnovamento?

All’inizio, sinceramente, non avevo immaginato nessuna relazione tra Quadrifluox e un discorso di contenuto o di eredità culturale. Per me era, prima di tutto, una sfida tecnica, un modo per risolvere un problema concreto legato alla stampa e alla gestione del colore.
Ma strada facendo, lavorando sui progetti e vedendo come veniva utilizzato, è diventato chiaro che questa tecnica portava con sé anche un gesto progettuale forte, che non poteva più essere considerato solo “forma”.

Quadrifluox è un sistema non convenzionale, originale, che propone una visione diversa del colore e del suo ruolo nella comunicazione visiva. Non è pensato per essere solo decorativo e spettacolare.
Anche se lavora con inchiostri fluorescenti, va oltre il semplice “gridare”, offrendo una presenza visiva decisa, fatta di sfumature, equilibrio e anche di silenzi.
La sua capacità di riprodurre l’intero spettro cromatico, dai toni più neutri a quelli più accesi, lo rende molto più sfaccettato e flessibile di quanto possa sembrare a prima vista.

E credo che proprio in questa sua complessità si ritrovi una certa ascendenza italiana, quella che puo accompagnare una grafica impegnata che ha sempre cercato un equilibrio tra forza comunicativa e responsabilità progettuale. Penso, ad esempio, a quella tradizione che ha saputo usare la grafica per la denuncia sociale, per l’impegno civile, per dare voce a una critica costruttiva. Quadrifluox, senza essere nata con quella finalità, si presta oggi in modo naturale a quei contesti. È uno strumento ideale per progetti di controcultura, per pubblicazioni radicali, per dare forza visiva a contenuti scomodi o marginali.

Il laboratorio Colore e forma un workshop in Quadrifluox tra gli appuntamenti di Professione Creativo del 2024 © Foto Alice Turina

In più, la sua struttura tecnica è completamente diversa da quella di altri sistemi che utilizzano il fluo solo come effetto speciale. Non c’è un inchiostro fluorescente “in più” aggiunto al CMYK per generare contrasto o stupore (come accade, per esempio, nei manifesti da circo o nei prodotti puramente pubblicitari). Con Quadrifluox tutti gli inchiostri, tranne il nero, sono fluorescenti, e questo la rende un sistema autonomo, coerente, con una sua logica interna.

Proprio per questo, mi piace pensare che non sia una “tecnica da fuochi d’artificio”, ma un linguaggio visivo con una sua dignità profonda: capace di ribellione e potenza, ma anche di misura, precisione e sobrietà, quando richiesto. Se oggi qualcuno ci vede un’eredità della grafica italiana più consapevole e politica, non posso che esserne orgoglioso. Non era l’intento iniziale, ma forse è proprio lì che si misura la maturità di una ricerca progettuale: quando la tecnica si mette al servizio di un discorso più ampio.

L’uso del colore fluorescente nella stampa è spesso considerato un elemento puramente estetico. Nel caso del manifesto realizzato con Mauro Bubbico per Graphicus, invece, il colore assume una valenza politica e semantica. In che modo la tecnica può trasformarsi in linguaggio?

Mauro ha una lunga tradizione nell’uso degli inchiostri fluorescenti, soprattutto nei suoi manifesti, dove si intrecciano cultura popolare, denuncia sociale e archetipi grafici della tradizione del Sud Italia, rielaborati in chiave contemporanea.
Il modo in cui lui usa il colore è, direi, naturalmente politico: non è mai decorazione fine a sé stessa, ma parte viva del messaggio. Proprio per questo, Quadrifluox si è rivelato perfetto per accompagnare il suo lavoro. È diventato quasi una firma visiva, un’estensione del suo linguaggio, (ogni volta che il budget lo permette!).

Nel caso del manifesto realizzato per Graphicus, la scelta di Quadrifluox non è stata solo tecnica: era necessaria per esprimere fino in fondo il messaggio. C’era una componente luminosa, quasi spirituale, che solo questa tecnologia poteva rendere in modo efficace. In quel sorriso disegnato da Mauro, unito all’intensità dei colori fluorescenti, c’è qualcosa che va oltre la semplice denuncia: c’è la luce della speranza. È un manifesto che parla di pace, di possibilità, di futuro, e la presenza di questi colori forti e luminosi rafforza esattamente quella tensione positiva, malgrado il dramma intrinseco denunciato dal manifesto stesso.

Il manifesto di Mauro Bubbico allegato al numero di Graphicus dedicato alla "Pace" stampato in Quadrifluox
Il manifesto di Mauro Bubbico allegato al numero di Graphicus dedicato alla Pace stampato in Quadrifluox
Dettaglio del manifesto di Mauro Bubbico allegato al numero di Graphicus dedicato alla Pace

Quali sono state le principali sfide tecniche e progettuali nel realizzare il manifesto con Bubbico? Ci sono limiti o potenzialità che si sono rivelate solo in corso d’opera?

Ogni volta che lavoro con un artista o un grafico, mi pongo sempre lo stesso obiettivo: tradurre fedelmente il loro linguaggio visivo, rispettandone la libertà espressiva, senza vincolarlo troppo alle esigenze tecniche della stampa. Questo vale anche per Quadrifluox. Pur essendo un sistema codificato, cerco di usarlo in modo aperto e flessibile, proprio per non limitare la creatività di chi progetta.

In teoria, sarebbe possibile lavorare direttamente con il profilo ICC Quadrifluox sin dalla fase progettuale, ma nella pratica evito questa strada. Il rischio è che l’artista si ritrovi a fare compromessi cromatici già in fase di ideazione, perdendo freschezza e libertà. Preferisco che l’autore lavori in RGB, in piena autonomia, e poi mi occupo io della conversione finale verso Quadrifluox, cercando di restituire nel modo più fedele possibile le intenzioni originali.

Con Mauro abbiamo già una lunga intesa, e questo aiuta molto. Già nei primi lavori realizzati insieme, avevo creato per lui una palette personalizzata in RGB, costruita proprio pensando alla resa finale in Quadrifluox. Lui lavora con quella come base, e poi io intervengo in fase di separazione e adattamento colore. È un processo a due mani, dove tecnica e progettualità si incontrano.

Detto questo, ci sono ancora limiti oggettivi con cui dobbiamo fare i conti. Il profilo CMYK, anche nella sua versione estesa con la Quadrifluox, restituisce una simulazione a video che risulta più sbiadita rispetto alla resa reale in stampa, soprattutto nelle tinte più luminose. In realtà, in macchina, quei colori risultano molto più vivi, ma sul monitor o nella simulazione softproof sembrano spenti. È per questo che, nella maggior parte dei casi, è ancora preferibile lavorare in RGB, dove si conserva una maggiore intensità e ampiezza cromatica in fase creativa.

Un altro limite che abbiamo incontrato — e che si è confermato anche nel lavoro con Mauro per Graphicus — riguarda la riproduzione delle tinte rosse, che nella versione base della Quadrifluox tendono ad aranciarsi. In passato, Mauro aveva già affrontato questo aspetto utilizzando, d’accordo con lo stampatore, una tinta rossa Pantone non fluorescente, che ha una resa molto interessante sotto luce wood, perché diventa nera, creando un effetto visivo inaspettato. Ma per coerenza con il progetto Quadrifluox, in questo caso ho preferito utilizzare la Pantone 812 fluorescente, una tinta che avevo già studiato e messo a punto in lavori precedenti, e che ormai uso con una certa confidenza quando mi trovo a gestire rossi critici. In questo modo, siamo riusciti a mantenere coerenza tecnica ed espressiva, senza sacrificare l’intensità visiva del manifesto.

In corso d’opera, è proprio questa distanza tra ciò che si vede sullo schermo e ciò che si ottiene in stampa che può rappresentare sia una sfida che una scoperta. Quando si conosce bene il comportamento di Quadrifluox in macchina, si può giocare d’anticipo, correggere, bilanciare. Ma serve esperienza e fiducia nel processo. E soprattutto, serve un dialogo continuo tra tecnica e progetto, perché è lì che la stampa, da problema tecnico, può tornare a essere parte viva del linguaggio.

Con il progetto HelloFluo! hai invece esplorato un territorio ibrido tra stampa fluo e visual generativo, mettendo in dialogo codici matematici e linguaggi grafici. In che modo l’incontro tra creative coding e stampa tradizionale ha ampliato le possibilità espressive della Quadrifluox? E cosa ti ha colpito maggiormente dai risultati prodotti dai giovani designer coinvolti?

Sì, HelloFluo! è stato un progetto davvero stimolante, nato dalla collaborazione con lo studio Mekit, un gruppo di colleghi che ho conosciuto al Politecnico di Torino e che ho subito apprezzato per il loro approccio aperto e sperimentale. Condividiamo una certa attitudine alla ricerca progettuale, ma anche una curiosità per i linguaggi emergenti. In realtà, anche io ho una mia “b-side” un po’ nerd: mi piace la programmazione e da sempre mi diverto a sperimentare con il generative coding. In passato, alcune tavole apparse nei primi libri stampati in Quadrifluox sono nate proprio da esercizi in Processing — quindi, in un certo senso, questo dialogo tra codice e stampa era già latente.

Quando ho scoperto che Mekit stava avviando un laboratorio di creative coding, ho subito proposto di fare qualcosa insieme. L’idea era costruire un ponte reale tra il colore digitale e quello stampato, mettendo in dialogo due mondi che raramente comunicano in modo strutturato: quello dell’immateriale (lo schermo, l’algoritmo, il tempo) e quello della materia (l’inchiostro, la carta, la luce).

Gli studenti coinvolti hanno lavorato con palette RGB create appositamente, partendo dalle combinazioni CMYK generate dal profilo ICC Quadrifluox. È stato un lavoro tecnico di traduzione, sì, ma anche un esercizio creativo. Non si trattava solo di convertire dei colori, ma di immaginare come il risultato digitale sarebbe diventato materia stampata.

È stata una ricerca stimolante, perché ci ha spinto a riflettere sui limiti e sulle possibilità della stampa tradizionale, all’interno di un processo creativo che nasceva interamente nel digitale.

©HelloFluo

Anche in questo caso, è stata fondamentale la collaborazione con gli stampatori locali, che hanno partecipato in modo attivo e partecipe. Per le prove colore abbiamo lavorato con Tipografia Borra di Alpignano, mentre la produzione finale è stata affidata a Golinelli di Modena. Senza il loro contributo tecnico e la disponibilità a sperimentare, tutto questo non sarebbe stato possibile. Sono partner che non si limitano a “stampare”, ma partecipano davvero al processo creativo, con attenzione, precisione e apertura.

Quello che mi ha colpito di più nei risultati finali è stata la libertà progettuale che gli studenti si sono concessi. Nessuno ha cercato di “imitare” la stampa o adattarsi ai suoi vincoli: al contrario, molti hanno portato nel progetto una visione personale e una forte sperimentazione grafica, fatta di pattern, animazioni statiche, distorsioni, forme ibride. La Quadrifluox, in questo contesto, è diventata uno strumento espressivo pienamente contemporaneo, capace di assorbire codici matematici, tensioni visive e progettualità emergente. È stato emozionante vedere come una tecnica che nasce dalla stampa offset, apparentemente “lenta” e industriale, potesse diventare terreno fertile per il dialogo con il linguaggio generativo, che invece vive di istantaneità e flusso continuo.

In questo senso, HelloFluo! è stato un progetto ponte. Non solo tra digitale e analogico, ma tra generazioni, linguaggi e forme di pensiero. Un’esperienza che ha ampliato — anche per me — l’idea di cosa possa essere oggi la stampa, e cosa possa diventare domani.

Stai già lavorando ad altre applicazioni di Quadrifluox? Quali possibili sviluppi vedi per questa tecnica, sia nel campo editoriale che in quello dell’arte o della comunicazione pubblica?

In questo momento non ci sono progetti già avviati, ma ci sono molte “pensate”, come spesso accade quando una tecnica si dimostra fertile e piena di possibilità ancora inespresse. Quadrifluox, infatti, ha aperto una serie di piste di ricerca che sto cercando di esplorare, anche se alcune richiedono tempo, risorse e i giusti compagni di viaggio.

Una delle direzioni che mi interessa molto è l’integrazione degli inchiostri fluorescenti invisibili, ovvero quei pigmenti che si attivano solo sotto luce UV, completamente invisibili in condizioni di luce diurna. Sono tecnologie già largamente usate in ambiti come la sicurezza, l’anticontraffazione, il packaging protetto, ma che a mio avviso avrebbero anche un enorme potenziale simbolico e comunicativo se portate dentro linguaggi grafici più artistici o editoriali. Il problema, però, è soprattutto economico: il costo di questi inchiostri è ancora molto alto, spesso proibitivo, quindi non stiamo parlando di una sperimentazione destinata a diventare uno standard, ma piuttosto di una sorta di “ciliegina sulla torta” — un’estensione estrema della logica di Quadrifluox verso una stampa che si trasforma con la luce, che muta quando cambia la lunghezza d’onda che la illumina.

Va detto che già oggi, nel sistema Quadrifluox, è integrata una componente di metamorfosi visiva, ottenuta sfruttando la fluorescenza naturale del giallo, che sotto luce UV si attiva con maggiore intensità rispetto agli altri colori. Questo rende possibile costruire immagini a doppio livello, in cui il giallo diventa attivatore di un effetto, amplificando contrasti, emergenze visive o dettagli che nella luce ambiente risultano più discreti. È un gioco sottile, ma molto efficace, che apre già in partenza a una narrazione a luce variabile, senza bisogno di ricorrere a inchiostri invisibili.

Un’altra pista, più concreta, è quella dell’estensione del sistema Quadrifluox ad altri metodi di stampa, in primis la serigrafia. La serigrafia permette infatti di ottenere una densità e una saturazione dell’inchiostro molto più alta, cosa che potenzia ulteriormente l’impatto visivo dei fluorescenti e ne aumenta anche la resistenza alla luce nel tempo. Qui però siamo ancora a uno stadio embrionale, anche perché il passaggio da offset a serigrafia implica un ripensamento profondo delle curve di separazione, dei supporti, della gestione del retino e delle logiche di impaginazione. Ma è una sfida che mi piacerebbe affrontare, magari anche in ambito artistico o espositivo, dove la serigrafia ha ancora oggi una forte carica simbolica e materica.

Infine, sto cercando di lavorare a una proposta più commerciale: una formula di cessione controllata del profilo colore ICC, a pagamento, per chi volesse cimentarsi con Quadrifluox in maniera professionale. Sarebbe un modo per dare continuità all’idea iniziale di “sistema aperto”, ma con un minimo di struttura e sostenibilità. Poter offrire un profilo già testato, supportato da esempi reali e consigli tecnici, permetterebbe ad altri designer, studi o stampatori di sperimentare senza dover ricominciare da zero, ma sempre con la possibilità di personalizzare e adattare la tecnica ai propri contenuti.

Se dovessi dare un consiglio a chi vuole approcciarsi a Quadrifluox, quale sarebbe? Quali competenze o sensibilità ritieni fondamentali per esplorarla in modo consapevole?

Dipende molto dal livello di approfondimento che si vuole raggiungere. Sicuramente, il punto di partenza fondamentale è conoscere visivamente cosa la Quadrifluox è in grado di riprodurre. A questo scopo, il libro Quadrifluox rappresenta un ottimo strumento: attraverso le sue pagine si può verificare direttamente la gamma di colori e gli effetti che il sistema permette di ottenere.

Un passo successivo può essere uno studio più approfondito delle tecniche di gestione della luce UV, perché questo permette di dare vita a una vera e propria seconda lettura dell’immagine, svelando dettagli e sfumature che altrimenti rimarrebbero nascosti. Purtroppo, fino a oggi queste esperienze sono state raccontate soprattutto in una prima pubblicazione ormai esaurita, che sto valutando di ristampare in una versione abbreviata, più teorica, come contributo didattico sulla materia.

Giocare con la fluorescenza rappresenta quindi un secondo step importante per arricchire il progetto, ma prima di tutto consiglierei di partire dal colore stesso, che è l’aspetto in cui Quadrifluox davvero primeggia. Anche se, va detto, il suo successo attuale è probabilmente più legato all’effetto speciale che si ottiene sotto luce UV, è proprio nella qualità e nella complessità cromatica che si trova la vera potenzialità del sistema.

Un esempio particolarmente riuscito è il lavoro di Amélie JackowskiLa Conscience Amusante: una serie di cartoline in cui ha saputo interpretare in modo preciso e personale le potenzialità di Quadrifluox, integrando cromia ed effetti speciali con grande sensibilità. Amélie si è immersa completamente nel sistema, ne ha esplorato a fondo il linguaggio (avendo letto l’intero libro Quadrifluox in italiano) e ha colto con intelligenza il suo raggio d’azione, spingendolo fino ai limiti espressivi.
L’ho conosciuta a Marsiglia, presso la tipografia La Platine, dove sono state anche stampate le cartoline. Il risultato che ha realizzato è, a mio avviso, uno dei più maturi e convincenti nell’uso di questo sistema.

©Amélie Jackowski La Conscience Amusante